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Patrocinio a spese dello Stato - Nota storiografica

pubblicata il 24/07/2020

 

PATROCINIO A SPESE DELLO STATO

Breve nota storiografica

 

Tra i molteplici diritti soggettivi enumerati nella parte prima della Costituzione italiana, il diritto di accesso alla giurisdizione costituisce un cardine fondamentale delle norme a tutela dei consociati perché certifica il diritto di ogni individuo ad agire in giudizio per la tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive rectius permette a chiunque di far fronte a torti o ingiustizie attraverso il complesso meccanismo della giurisdizione.

Tuttavia, se ci si limitasse a quanto appena affermato, il principio rischierebbe di dare adito a notevoli disuguaglianze, giacché adire alla giurisdizione significa sobbarcarsi i costi e le spese necessarie in relazione alla pretesa fatta valere (es. tasse statali, costo economico dei professionisti -legali e non- materiale di causa etc.). Da qui l’affermazione secondo cui le persone in possesso di buone capacità economico-finanziarie non troverebbero ostacoli nell’ adire la giurisdizione perché capaci di sostenere i costi economici della difesa; diversamente, coloro che sono finanziariamente più vulnerabili, i c.d. “non abbienti”, sarebbero sistematicamente esclusi dall’ accesso alla giustizia, in quanto proprio il costo da sopportare diverrebbe il primo fattore dissuasivo nell’affrontare le impervie vie della tutela giurisdizionale, così negando, di fatto, il diritto astrattamente previsto dall’ art. 24 co. 1 Cost. con riflessi anche sull’ art. 3 co. 2 cost. in tema di uguaglianza sostanziale.

Proprio per evitare la situazione appena menzionata, il legislatore costituente ha rubricato, all’ art. 24 co. 2 della carta costituzionale, l’obbligo per lo Stato italiano di garantire, per tutte le persone non abbienti, i mezzi per agire e per difendersi di fronte ad ogni giurisdizione attraverso la previsione di appositi istituti, fra cui il patrocinio a spese dello Stato. 

Le origini dell’istituto sono piuttosto risalenti: già nel tardo diritto romano era prevista la possibilità, concessa a vedove, orfani e persone “miserabili”, di essere giudicate direttamente dal Tribunale imperiale romano in forza della protezione sociale esercitata nei loro confronti da parte degli esponenti del regno Carolingio[1] mentre, successivamente, numerosi statuti medievali disponevano l’istituzione a termine di un giureconsulto con potere di patrocinio per le cause dei predetti soggetti[2], come nell’ anno 1233, quando a Parma fu previsto per la prima volta l’istituto del funzionario dello Stato chiamato “Difensore del Povero[3]. Allo stesso tempo, altri Stati iniziarono a prescrivere l’ accollo della difesa dei poveri alle classi degli avvocati e procuratori istituendo un titolo onorifico specifico: perciò l’ avvocato o il procuratore che avesse patrocinato una causa per un “non abbiente” sarebbe stato obbligato a effettuare la propria opera interamente pro bono, senza percepire alcun compenso professionale.

Con l’avvicinarsi dell’ unificazione dello Stato italiano gli strumenti  di sostegno all’accesso alla giustizia ai meno abbienti si ridussero a due tipologie: una basata sulla  costituzione di un onere in capo ai membri della classe forense di patrocinare pro bono le persone meno abbienti (patrocinio gratuito obbligatorio[4]) ed un’altra fondata sull’ istituzione di uffici legali di rilievo pubblicistico, in cui lo Stato interveniva per retribuire i professionisti (Avvocatura dei Poveri[5]). L’ istituto dell’ Avvocatura dei Poveri nasceva, inizialmente, nel Regno di Sardegna, come fondazione privata ad Alessandria e, parallelamente, come istituto a carattere pubblicistico a Vercelli, Novara e Cuneo. Degna di essere menzionata è la  legge Rattazzi sull’ordinamento giudiziario n. 3871 del 13.11.1859 con cui il legislatore Piemontese istituì, presso ciascuna corte d’appello, un ufficio formato da un avvocato e da un procuratore dei poveri, inseriti presso l’organo magistratuale, con le funzioni di patrocinio per i non abbienti mentre, dall’altro lato, soppresse gli uffici dell’avvocatura dei poveri di istituzione privata e comunale.

Successivamente alla costituzione del Regno d’Italia l’istituto dell’Avvocatura dei Poveri venne esteso, con i R.D. 21.4.1862 n. 620 e 21.9.1862 n. 851, rispettivamente alle provincie di Napoli e della Sicilia. Tuttavia il sistema entrò in crisi per ragioni di bilancio pubblico a causa dell’ eccezionali spese alle quali lo Stato doveva far fronte[6], tanto che a livello parlamentare vi furono numerose discussioni[7] circa il mantenimento dell’istituto o, piuttosto, il suo abbandono in favore di altri, e meno (fiscalmente) impegnativi,  sistemi di tutela delle classi meno abbienti[8].

L’esito del percorso parlamentare fu proprio l’eliminazione dell’istituto dell’ Avvocatura dei Poveri: la Legge Cortese del 6.12.1865 n. 2626 abrogava tutti gli uffici degli avvocati e procuratori dei poveri esistenti e retribuiti a spese dell’Erario, ad eccezione di quelli istituiti con private fondazioni. Per sopperire alla mancanza dell’ istituzione appena cessata il legislatore, attraverso il R.D. 6.12.1865, n. 2627, regolamentò l’ufficio del patrocinio in favore dei non abbienti come incarico essenzialmente gratuito e onorifico, realizzando pienamente l’ idea di quella corrente parlamentare che voleva, da una parte eliminare il peso fiscale della tutela dei poveri dalle spalle dello Stato e, dall’altra, cercare di innalzare l’importanza “morale” della difesa del meno abbiente. Pertanto, è proprio dal 1865 che il mandato difensivo  esercitato in favore dei poveri è divenuto “gratuito” nel vero senso della parola ed è da lì che è nato l’obbligo di patrocinio direttamente discendente dall’iscrizione nell’albo professionale, salvo i casi di sovvenzione da parte di un istituto privato dell’ avvocatura per i poveri.

Solo nel 1923 il legislatore mise mano ad una profonda riorganizzazione dell’ assistenza ai non abbienti, disciplinandola organicamente in un provvedimento legislativo (Regio Decreto 30.12.1923 n. 3282) che si poneva in piena discontinuità rispetto alle precedenti esperienze. Il fattore di ispirazione della riforma introdotta dal legislatore fascista si poteva già riconoscere fin dall’ esordio del provvedimento stesso dove, proprio all' art. 1 della predetta legge, veniva prescritto che "il gratuito patrocinio dei poveri è un ufficio onorifico ed obbligatorio della classe degli avvocati e dei procuratori". La riorganizzazione della disciplina permise anche una più precisa delimitazione dell’ ambito di applicazione dell’ istituto perché, oltre a comprendere i settori civile e amministrativo (tradizionalmente quelli sempre interessati dalle procedure per i non abbienti), comprendeva anche i giudizi penali, i cui destinatari del provvedimento di ammissione potevano essere l’imputato, la parte civile, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, cittadini italiani o stranieri[9].  Presupposto principale per l’ ammissione al beneficio era la prova da parte del richiedente di versare in un vero e proprio “stato di povertà”, intendendosi con tale inciso non la nullatenenza, “ma uno stato in cui il ricorrente non sia in grado di sopperire alle spese della lite[10], che doveva essere fornita attraverso la produzione di un’ attestazione del sindaco del comune in cui il richiedente aveva il domicilio o la residenza, previa esibizione di un certificato dell’agenzia delle imposte da cui doveva risultare l’ammontare delle imposte pagate dall’interessato e il parere dell’agenzia sullo stato di povertà del soggetto. La richiesta di ammissione al beneficio si presentava con ricorso, in carta libera per quanto riguardava il processo penale, in bollo per i procedimenti civili e amministrativi, che doveva essere sottoscritto dalla parte e da un avvocato o un procuratore. E’ bene precisare sin da subito che nel procedimento penale la decisione sull’ammissione al patrocinio gratuito spettava al giudice competente e, nella fase dell’istruzione sommaria, al pubblico ministero e l’ ammissione al beneficio permetteva la designazione da parte dell’ Autorità procedente di un difensore d’ufficio, senza che il beneficiario dell’ istituto avesse facoltà di scelta o di ingerenza nella decisione. In tale ambito l’ avvocato o il procuratore legale designato non potevano rifiutare l’incarico, salvo la dimostrazione di un “grave e giustificato motivo”  così come previsto dall’ art. 31 R.D. n. 3282 del 1923, e, soprattutto, dovevano trattare il processo «secondo la propria scienza e coscienza», sotto la sorveglianza immediata della magistratura  che, in determinati casi, poteva adottare provvedimenti necessari[11].

Ad ogni modo, nei procedimenti civili e amministrativi il richiedente doveva dimostrare, oltre al proprio stato di povertà, anche la probabilità di esito positivo della causa necessitando del benestare di una commissione amministrativa (non giudiziaria) a cui era demandata  la decisione sull’ ammissione al beneficio

L’avvento della Carta Costituzionale determinò una serie di frizioni con il sistema previsto dal R.D. 30.12.1923 n. 3282 perché, proprio l’ obbligo di richiedere l’ ammissione al beneficio alla commissione, finiva per far dipendere l’accesso alla giurisdizione del cittadino dalla decisione di un organo amministrativo, in palese violazione degli artt. 24 co. 1 e art. 25 cost. Tuttavia non tutti i principi posti a fondamento del Regio Decreto furono abbandonati, in quanto la Corte Costituzionale si espresse positivamente sull‘ obbligatorietà del patrocinio gratuito, così come già regolato dal provvedimento regio, ribadendo il principio secondo cui “la tutela del lavoro non esclude che la legge possa imporre prestazioni gratuite per ragioni di interesse generale ai sensi dell’art. 23 della Costituzione[12].

E’ stato necessario attendere l’anno 1973 per vedere l’ introduzione del patrocinio a spese dello Stato inteso come “prestazione professionale onerosa corrisposta dallo Stato”. Tale istituto giuridico fu creato con la L. 633/1973 per le sole controversie di lavoro e previdenza sociale, poi successivamente esteso  alle controversie riguardanti la materia dell’adozione e dell’affidamento dei minori (L. 4 maggio 1983 n. 184). Il principio fondamentale accolto dal legislatore era mutuato da altri Stati Europei ed era basato sulla previsione di un sistema in cui era l’ organo pubblico statale che si assumeva il costo di tutte le spese necessarie per lo svolgimento del procedimento (es. diritti di copia, contributo unificato, etc) nonché il pagamento dei diritti, compensi ed onorari dei difensori, consulenti tecnici ed ausiliari intervenuti nel processo, sulla base delle tariffe ordinarie esistenti in relazione alla categoria di riferimento.

Riguardo al processo penale, risale all’ anno 1990 un serio intervento riformatore della materia con cui, mediante l’ approvazione della L. n. 217 del 30.7.1990, era disposta l’ abrogazione del R.d. 30 dicembre 1923 n. 3282 e, conseguentemente, cessava di esistere nel sistema penale italiano il patrocinio gratuito. In tal modo tramontava definitivamente la figura dell’ avvocato che assisteva pro bono il cliente, individuando, piuttosto, la figura di riferimento in un professionista che, al venire in essere di certi presupposti, non doveva essere retribuito dall’ assistito ma inviare le richieste circa le sue spettanze nei confronti dello Stato stesso, quasi che quest’ ultimo fosse un mero sostituito del cliente nel pagamento dell’ onorario.

Per l’ applicazione generalizzata del patrocinio a spese dello Stato in tutti i settori dell’ ordinamento si è dovuto attendere l’emanazione del DPR 30.5.2002 n. 115 con cui, sulla scorta della L. 134/2001 (mai attuata in quanto trasfusa nel testo unico predetto), il patrocinio a spese dello Stato è stato esteso a tutti i giudizi civili e amministrativi.

 

Alcuni dati statistici

Al fine di comprendere l’ importanza che ha assunto la tutela dei non abbienti è opportuno segnalare alcuni dati statistici elaborati nella Relazione semestrale sull’ applicazione della normativa in materia di patrocinio a spese dello Stato e riferita ai procedimenti penali del Ministero della Giustizia.

Con riferimento all’ anno 2018 (ultimo anno di rilevazione fino ad ora disponibile) le persone che hanno richiesto l’ammissione al beneficio a spese dello Stato sono state 199.176 di cui il 27,3% (54.456) nel Nord Italia, il 16,8% (33.385) nel Centro Italia, il 28,5% e 27,4% nel Sud (56.811) e nelle Isole (54.524). Sempre con riferimento alla stessa annata, i beneficiari si distribuiscono su una stragrande maggioranza di soggetti indagati, imputati e condannati (88,2%) con la restante minoranza delle persone offese e danneggiate (11,8%), comunque in aumento rispetto agli anni precedenti[13].

Le rilevazioni confermano che nell’ anno 2018, sul totale dei soggetti interessati, circa il 77,6% di domande è stata presentata da cittadini italiani mentre per quanto riguarda gli stranieri extracomunitari la percentuale è del 22,4%, fra questi il 43% risulta residente al Nord Italia, il 28,2% al Centro mentre nel Sud e nelle Isole la percentuale si assesta rispettivamente sul 15,2% e sul 13,3%.

Riguardo alle spese lorde relative all’ anno 2018 lo Stato italiano ha rilevato un costo lordo di € 182.215.914 IVA inclusa circa, di cui il 95,5% è stato devoluto al pagamento delle parcelle degli avvocati difensori delle parti (€ 173.534.768 IVA inclusa), stimando un costo pro capite pari ad € 1.083,00 su base triennale.

Lucca, 22.7.2020

 

Il responsabile dell’ Osservatorio Patrocinio a spese dello Stato e Difesa di Ufficio Camera Penale di Lucca

Avv. Roberto Bonacchi



[1] Cfr. A. Segre, La tutela dei poveri nella storia del diritto italiano. Dissertazione di laurea, Regia Università di Torino, a.a. 1906-1907, Torino 1907, pp. 10 sgg.; C. NataliniI, Per la storia del foro privilegiato dei deboli nell’esperienza giuridica altomedievale, Bologna 2008, pp. 4-5; EAD., Il giudice dei pauperes nei capitolari carolingi, in Il ‘privilegio’ dei ‘proprietari di nulla’. Identificazione e risposte alla povertà nella società medioevale e moderna. Convegno di studi Napoli 22-23 ottobre 2009, a cura di A. Cernigliaro, Napoli 2010, pp 59-71., così come indicato nel saggio “Avvocazia dei poveri, Avvocatura dei poveri, Gratuito patrocinio: la tutela processuale dell’indigente dall’Unità ad oggi” di Federico Alessandro Goria

[2] Così ad esempio gli statuti di Vercelli del 1241, par. 116; cfr. Statuta communis Vercellarum, a cura di G.B. Adriani, in Historiae patriae monumenta, XVI-2, Augustae Taurinorum 1877, coll. 1137-1138. Analogamente quelli di Bologna del 1250; cfr. A. Segre, op. cit., pp. 63-64.

[3] cfr. Cipriani, Il patrocinio dei non abbienti in Italia, in Foro It. 1994, p. V, 83

[4] Il sistema intendeva configurarsi secondo una difesa gratuita d’ufficio imposta all’ avvocatura. Tale meccanismo si era sviluppato nel Granducato di Toscana, nel Regno delle due Sicilie e nel Ducato di Milano dove sin dalla metà del XVI sec. gli Statuti di Milano prescrivevano che un Collegio di avvocati dovesse scegliere con cadenza annuale un gruppo di professionisti legali, incaricati di prestare obbligatoriamente e gratuitamente il patrocinio agli indigenti e agli inabili.

[5] L’ istituto dell’ Avvocatura dei Poveri si è formato nel Regno Piemontese  all’ incirca nella seconda metà del XIV secolo e, successivamente, è stato adottato nella Roma papalina e negli Stati pontifici prima dell’unificazione della legislazione italiana.

[6] Cfr. “Avvocazia dei poveri, Avvocatura dei poveri, Gratuito patrocinio: la tutela processuale dell’indigente dall’Unità ad oggi” di Federico Alessandro Goria pagg. 45-47

[7] Cfr. da un discorso dell’ on. Oronzio De Donno alla Camera dei Deputati del 20.4.1963  che esordiva con le seguenti parole “Fra le cause di aggravio del bilancio vi ha senza dubbio la pubblica clientela de’ poveri…”

[8] Il dibattito parlamentare si sviluppò fra il 1863 e il 1865.

[9] Sul punto è necessario specificare che,  indipendentemente dalla circostanza che lo straniero fosse o meno residente nel territorio dello Stato, l’ interessato doveva solo provare lo stato di non abbienza per accedere al beneficio ex art. 14 r. d. n. 3282 del 1923. Cfr. R.G.Rodio, Difesa giudiziaria, cit., 80. 

[10] Cfr. Capitolo I° -Parte II della monografia Paola Sechi, “Il patrocinio dei non abbienti nei procedimenti penali” Collana Studi di diritto processuale penale raccolti da Giovanni Conso, Milano, Giuffrè, 2006, 107-144.

[11] Cfr. Capitolo I° -Parte II della monografia Paola Sechi, “Il patrocinio dei non abbienti nei procedimenti penali” Collana Studi di diritto processuale penale raccolti da Giovanni Conso, Milano, Giuffrè, 2006, 107-144.

[12] Cfr. Cort. Cost. 22 dicembre 1964 n. 114 e Cort. Cost. 12 aprile 1973 n. 3.

[13] Probabilmente su questo dato influisce sempre di più la normativa introdotta all’ art. 76 co. 4 ter Dpr 115/2002 che prevede l’ ammissione al beneficio per le persone offese e danneggiate di alcuni gravi reati(es. 572,609 bis etc) anche al di fuori dei limiti di reddito.

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