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Giunta UCPI - Delibera stato agitazione

pubblicata il 24/06/2017

GIUNTA DELL’UNIONE DELLE CAMERE PENALI ITALIANE
Delibera del 24 giugno 2017

La Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane,

rilevato

che all’indomani dell’approvazione, solo attraverso il ricorso al voto di fiducia, della legge di riforma del codice penale e di procedura penale, contenente istituti gravemente distonici rispetto al modello accusatorio del giusto ed equo processo, il Governo si accinge a chiedere la approvazione, all’aula del Senato, del DDL 2134 di modifica del codice delle leggi antimafia e delle norme sulla “confisca allargata”;
che tale riforma mira ad equiparare irragionevolmente “i corrotti ai mafiosi”, attraverso l’inclusione nelle categorie della pericolosità qualificata di coloro che siano raggiunti anche da un solo “indizio” di un reato dei PU contro la P.A.;
che la proposta di riforma contiene inoltre disposizioni che tendono ad espandere ulteriormente la sfera applicativa delle norme contenute nell’art. 12 sexies del D.L 306/92, già stralciate da precedenti progetti di riforma, introducendo la possibilità di disporre la confisca anche in assenza di una sentenza di condanna definitiva ed ulteriori gravi limitazioni degli spazi difensivi nell’ambito della prova della lecita provenienza dei beni;
che questa proposta di legge si pone nell’ambito di quella medesima cultura di ispirazione autoritaria cui si è avviata la politica del governo in campo penale che si rende impermeabile sia agli accorati appelli degli avvocati penalisti e dei più eminenti studiosi della materia, che alle divergenti opinioni provenienti persino dai massimi livelli della magistratura inquirente che da tempo opera nel campo della lotta alla criminalità organizzata;
che il Legislatore della riforma manifesta una preoccupante linea di palese controtendenza anche rispetto ai principi ispiratori delle più recenti e note pronunce delle più alte Corti sia nazionali che sovrannazionali, laddove si mira a restringere il campo delle garanzie e dei limiti affermati nelle decisioni delle Sezioni Unite, della Corte Costituzionale, e della stessa Cedu, dalla cui giurisprudenza garantista evidentemente la politica ritiene di poter prescindere, rischiando così di allontanare ancora di più il nostro sistema repressivo dai canoni di legittimità convenzionale e costituzionale;

che la pervicacia con la quale il Legislatore si ostina ad espandere il sottosistema della prevenzione, piuttosto che dotarlo di serie garanzie difensive, se non eliminarlo del tutto, sembra quasi ignorare che questa anomalia, tutta italiana, come ha impietosamente evidenziato il massimo consesso di Strasburgo nella Sentenza della Grande Chambre nel procedimento “De Tommaso contro Italia”, ha subito una colpo letale per effetto di questa recentissima decisione proprio sul versante del principio di precisione/determinatezza che, come noto, costituiscono articolazione diretta del principio di legalità, architrave dei sistemi penalistici contemporanei;
che la Sentenza della Grande Camera di Strasburgo – Grande Chambre cui è stata assegnata proprio per conferire alla decisione la ‘sostanza’ del diritto consolidato - non può essere tenuta in disparte dal legislatore, neppure volendo dar seguito a quei (pochi) commenti o alle sporadiche decisioni provenienti da quella parte della magistratura che nel procedimento senza condanna e senza reato ritiene di aver trovato il modello ideale di lotta al crimine, sintetizzato nella formula “efficienza contro garanzie”;
che è inaccettabile l’atteggiamento del Legislatore della riforma, che invece di dare le risposte coerenti ai richiami perentori del massimo consesso eurounitario – attraverso un drastico ridimensionamento della materia - si ostina ad ampliare le ipotesi applicative del sistema prevenzionale, così rendendo manifesta la “frode delle etichette” che si cela dietro il vessillo della “antimafia” e che invece andrebbe ricondotto, senza ritardo, nelle strutture fondamentali del diritto penale;
che urge disvelare anche la autentica mistificazione della realtà che sospinge la riforma, laddove si afferma che senza questo pacchetto di modifiche risulterà preclusa ogni possibilità di sequestrare e confiscare i beni ai corrotti, essendo noto al contrario che, le norme vigenti, come di recente ribadito dalla Corte di Cassazione (Cass. sez. I,2015 n. 31209- Scagliarini) consentono già questa possibilità nell’ambito della prevenzione, laddove venga data dimostrazione che le abituali condotte delittuose abbiano consentito al proposto di ricavare proventi illeciti, destinati al proprio sostentamento;
che non meno allarmanti sono le mancate risposte della politica alle censure che l’Unione, già in sede di audizioni tenutesi nel corso dell’iter formativo della proposta di legge, aveva sollevato in riferimento all’introduzione di inaccettabili limitazioni processuali quali la audizione a distanza, o alle carenze nella riforma di quei minimi adeguamenti procedimentali in grado di rendere effettiva la difesa quali, solo per citarne alcuni, la concessione di termini a comparire congrui e rispettosi del dettato costituzionale e la eliminazione del limite della sola violazione di legge fra i vizi denunciabili in sede di legittimità;

che lo spirito autoritario della riforma emerge anche nella inverosimile regressione, rispetto ai principi riconosciuti dalle stesse SSUU e dalla Cedu, in materia di confisca allargata, che si accredita come strumento elettivo per la lotta delle “perenni emergenze” che connotano gli attuali assetti sociali espandendo l’area della sanzione patrimoniale, disvelando piuttosto la natura propriamente criminogena di essa conseguente alla riduzione o all’annullamento delle possibilità lecite di partecipazione alla vita sociale di chi venga spogliato dei suoi averi;
che la sovrapposizione tra confisca cosiddetta estesa e misura di prevenzione patrimoniale che conseguirebbe alla approvazione della riforma unificherebbe inammissibilmente istituti basati su presupposti giuridici diversi, come di recente ribadito dalle stesse SS.UU, attraverso un restringimento delle possibilità di difesa contemplate nella norma vigente; la confisca estesa ex art. 12 sexies è da considerarsi pena vera e propria alla luce dei recenti pronunciamenti della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e della giurisprudenza interna ed applicarla al di fuori di una sentenza di condanna sarebbe incompatibile con i principi sovranazionali e costituzionali ex art. 117 della Costituzione.

considerato

che il Governo ed il Parlamento devono essere richiamati al rispetto dei principi convenzionali e costituzionali, e che la riforma contiene al suo interno interventi normativi che inammissibilmente espandono la portata applicativa delle misure di prevenzione, violando i principi costituzionali;
che occorre riportare urgentemente la materia delle prevenzione e delle ablazioni del patrimonio nell’area di operatività dei principi del giusto processo, della legalità e della presunzione di innocenza, dimenticate invece sulla spinta di artefatte spinte populistiche sulla cui onda irrazionale si finisce con l’introdurre all’interno dell’ordinamento pericolosi elementi di totale arbitrio e di ritorno alla politica criminale del tipo d’autore;
che anche tale riforma si colloca nell’ambito di una complessiva politica giudiziaria che appare volta ad un progressivo allontanamento dalle idee e dai principi, che al contrario dovrebbero realizzare il modello del giusto ed equo processo, già inquinato e dalle molteplici riforme processuali e sostanziali contenute nel DDL di recente approvazione fra le quali l’irragionevole l’allungamento dei tempi del processo attraverso l’introduzione di irrazionali meccanismi di sospensione dei termini di prescrizione, e l’inutile, inefficace ed arbitrario incremento delle pene e l’allargamento irrazionale del processo a distanza, che violano evidentemente i principi di uguaglianza, di ragionevole durata del processo, la presunzione di innocenza, il diritto alla vita, il principio del contraddittorio e di immediatezza;

che in particolare, in relazione al processo a distanza, solo un anno fa, nell’aprile del 2016 la Commissione Straordinaria per la tutela dei diritti umani del Senato ha depositato il proprio “Rapporto sul Regime Detentivo Speciale Indagine conoscitiva sul 41-bis”, nelle cui conclusioni ha formulato una serie di “raccomandazioni” tra le quali al punto 15 si legge: “[…] la partecipazione personale all’udienza costituisce una componente essenziale del “giusto processo” e il ricorso generalizzato al collegamento a distanza potrebbe far configurare una limitazione di tale diritto, raccomandando che ai detenuti in regime di 41-bis fosse garantita la possibilità di prendere parte alle udienze dei processi cui partecipano nelle vesti di imputati, ricorrendo a misure di sicurezza adeguate all’effettuazione di trasferimenti sicuri”;
che con il DDL di riforma del processo penale, non solo tale raccomandazione è stata del tutto disattesa, ma il regime di partecipazione a distanza a dibattimento è stato ampliato a tutti i reati attribuiti alla funzione investigativa della Direzione Distrettuale Antimafia, con l’introduzione di automatismi che prescindono ormai del tutto da ogni valutazione in merito alla sussistenza di ragioni di sicurezza, o di ordine pubblico, o di necessità di celere celebrazione dei processi, nonché ad ogni reato, ove sussistano tali supposte ragioni;
che in occasione dell’approvazione dello stesso DDL è stato, altresì, approvato un ordine del giorno che impegna il Governo a verificare, nell’arco di tempo di un anno previsto per l’entrata in vigore del nuovo regime, la partecipazione a distanza a dibattimento;
che anche con riferimento a tali riforme irrazionali e disorganiche che non rimediano alla irragionevole lunghezza della fase delle indagini preliminari, alla mancanza di seri ed efficaci strumenti di deflazione del numero dei procedimenti, ed alla complessiva ed ingravescente mortificazione del contraddittorio, occorre svolgere ogni possibile ulteriore attività di contrasto giudiziale richiedendo l’intervento del giudice delle leggi, dovendosi altresì vigilare affinché le deleghe in materia di intercettazioni e di riforma dell’esecuzione penale e del processo di sorveglianza, siano adeguatamente attuate a tutela della funzione difensiva, del diritto alla riservatezza, nella piena effettiva realizzazione degli artt. 24 e 27 Cost.;
che occorre dunque promuovere con urgenza una seria ed organica riforma del processo penale, spingendo le forze politiche ad adottare un modello di processo efficiente e moderno, ispirato ad idee democratiche e liberali, orientato al recupero della centralità del contraddittorio, e volto alla piena realizzazione dei principi del giusto ed equo processo ed alla imprescindibile e non più rinviabile realizzazione della figura costituzionale del “giudice terzo”, legittimato dalla costruzione di una vera “cultura del limite” e da una nuova organizzazione dell’intero sistema ordinamentale incentrata sulla separazione delle carriere;

delibera

lo stato di agitazione, invitando le Camere Penali territoriali ad organizzare manifestazioni ed eventi dedicati ai temi della riforma e del denunciato contrasto con i principi costituzionali e convenzionali e della presunzione di innocenza, riservandosi di indire ulteriori manifestazioni nazionali sul tema delle garanzie e dei diritti processuali di tutti i cittadini, mantenendo pertanto lo stato di agitazione dell’avvocatura penale ed attivando ogni strumento comunicativo volto alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle forze politiche sul metodo e sul merito della riforma, ponendo in essere quanto necessario alla instaurazione di una immediata interlocuzione con il Governo.

dispone

la trasmissione della presente delibera al Presidente della Repubblica, ai Presidenti della Camera e del Senato, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro della Giustizia, ai Capi degli Uffici giudiziari.

Roma, 24 giugno 2017

Il Segretario                      Il Presidente
Avv. Francesco Petrelli     Avv. Beniamino Migliucci

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